A 100 anni dalla prima salita, Alberto Sciamplicotti ripercorre la storia e la via Chiaraviglio-Berthelet, aperta il 9 settembre 1918 negli ultimi giorni della prima guerra mondiale da Curio Chiaraviglio e Ettore Berthelet sul Corno Piccolo del Gran Sasso d’Italia.
Cento Anni. Ieri (ndr testo scritto il 10/09/18) erano cento anni della prima salita al Corno Piccolo al Gran Sasso lungo l’itinerario aperto da Curio Chiaraviglio e Ettore Berthelet.
Cento anni. Non sono certo pochi. Era 9 il settembre del 1918 e l’avanzata del Piave solo pochi mesi prima aveva messo le basi per la disfatta, sul fronte italo-austriaco, dell’impero dell’aquila bicipite nera. La gioventù italiana tutta aveva partecipato a quell’olocausto, fino al richiamo in armi dei nati nell’ultimo anno del secolo precedente, ragazzini di 18 anni mandati al fronte nelle ultime fasi della guerra.
Curio Chiaraviglio ed Ettore Berthelet nel settembre del diciotto avevano 22 e 24 anni e verrebbe da chiedersi il senso della loro presenza fra le guglie del Corno Piccolo. Non sarebbero dovuti invece stare al fronte come i loro coetanei? Le notizie su Ettore Berthelet che si riescono a rintracciare sono veramente poche. Probabilmente era un appassionato di fotografia, una sua immagina di Bologna appare su un volume fotografico, e probabilmente ha lavorato in ufficio presso il Servizio Centrale di Roma delle ferrovie Italiane. Di Chiaraviglio si sa invece un poco di più, in quanto era era il nipote dello statista Giovanni Giolitti, fatto che subito indurrebbe a pensare a un allontanamento dal fronte dovuto all’intercessione del nonno.
Un imboscato insomma.
In realtà, Curio Chiaraviglio donò alla patria tre anni della sua vita nei combattimenti contro gli austriaci. Gravemente malato passò solo gli ultimi mesi di guerra in convalescenza presso la residenza del nonno. Tutt’altro che un imboscato insomma. Eppure, questo non risolve il mistero. Cosa facevano quei due ragazzi, in quegli ultimi giorni di guerra, di dolore, di sangue sulle cime del Gran Sasso? Perché erano lì? Cosa li aveva condotti su quelle rocce?
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Come nato nella seconda metà del ventesimo secolo, la mia esperienza su quel periodo è limitata a quanto appreso sui libri di storia ma, soprattutto, ai racconti dei nonni che direttamente avevano, ognuno a modo proprio, partecipato al primo conflitto mondiale. Così, mi sono arrivate le narrazioni della vita di trincea, dei topi che venivano a mordere calze e piedi dei soldati addormentati nelle brande, dei commilitoni messi di guardia alle postazioni di montagna nelle notti d’inverno e ritrovati la mattina congelati e addormentati per sempre, dell’avanzata del Piave con l’attraversamento del fiume su ponti di barche con sotto l’acqua che scorreva color del sangue, che di sangue dei cadaveri che galleggiavano oramai era per lo più composta.
Ricordo poi le lacrime di mio nonno Giovanni il giorno della parata militare del due giugno, quando il dolore e la sofferenza di quei giorni di guerra, di quello che aveva dovuto subire e ancor più di quello che si era dovuto fare, tornavano prepotenti alla mente.
L’itinerario che sale lungo la cresta del Corno piccolo aperto da Chiaraviglio e Berthelet non è un itinerario difficile. PD+ dice la guida, passaggi di secondo e terzo, forse uno o due passaggi di quarto meno, molti tiri di corda che si possono percorrere in conserva. Eppure, nonostante la bassa difficoltà, è un percorso stupendo, che giunge in vetta accarezzando i diversi versanti del Corno Piccolo con la stessa passione e poesia con cui un amante accarezza l’oggetto del suo amore.
Così, probabilmente, la risposta a quella domanda iniziale è qui che va ricercata. Curio Chiaraviglio e Ettore Berthelet sulle rocce del Gran Sasso di quel giorno di cento anni fa stavano cercando qualcosa che in quel momento in Italia non c’era. Cercavano qualcosa che potesse aiutare a superare la costante presenza dell’orrore, del dolore, della sofferenza che ogni guerra porta con sé. Cercavano la chiave per ricominciare a vivere. Cercavano la poesia e la bellezza.
Ieri, quando siamo arrivati in vetta, chi per l’itinerario di Curio ed Ettore, chi per la ferrata Danesi, chi per uno dei tanti percorsi di arrampicata delle Spalle del Corno Piccolo, una densa nebbia avvolgeva il punto più alto della montagna e tutto era sfumato, soffuso, indefinito. Poteva essere il 2018 come anche 100 anni prima, perché la ricerca che ci aveva portato lì era la stessa di quei due ragazzi in fuga dall’orrore. In questi giorni non c’è una guerra dichiarata, è vero, eppure l’orrore in cui siamo immersi, pur se più strisciante e subdolo, non è per questo meno efferato. E’ qualcosa che racconta ugualmente di disperazione, di morte, di nazioni sull’orlo di qualcosa di indefinito ma che si intuisce ripugnante e di interessi, economici e di potere, che spingono ogni verso un baratro sempre più vicino.
Per questo, sulla vetta del Corno Piccolo, come un cerchio che unisce gli animi più lontani, superando persino i limiti temporali, ci siamo sentiti vicini a quei due ragazzi, uniti a loro da quella stessa tensione che li condusse: la ricerca della poesia e della Bellezza, l’unica salvezza possibile all’orrore del mondo.
Alberto Sciamplicotti, 10 settembre 2018
SCHEDA: Chiaraviglio-Berthelet, Corno Piccolo al Gran Sasso